venerdì 23 dicembre 2011

Natale a Betlemme: Royal Rumble in Basilica.


“Fra Cristoforo! Fra Cristoforo!” Fra Guglielmo spalancò la cella del Fratello Cerimoniere sconvolto e senza fiato.
Fra Cristoforo si alzò di scatto con ancora il copri occhi per la notte. La stanza era spoglia come quella di tutti i francescani. C’era un tavolino con il vangelo e letture religiose e una candela ancora accesa che illuminava un poster in scala 1:1 di San Francesco che accarezzava il lupo di Gubbio che scodinzolava con le babbucce tra i denti.
“Che c’è Fratello Guglielmo?” Chiese allarmato riconoscendo il novizio dalla voce e turbato dal suo tono, tanto quanto essere svegliato da una persona anziché dal canto dei passerotti della sua sveglia. Nessuno avrebbe osato disturbare il suo riposo a meno che una calamità stesse per piombare sulla comunità dei frati francescani a Betlemme.
“Li ho visiti. Si stanno preparando. Sono già scesi. Devono avere in mente qualcosa.” Disse affannato con voce tremante.
Fra Cristoforo si accorse che parlava al buio. Si tolse il copri occhi e lo lasciò cadere sul letto. Il novizio tremava e non era in possesso dei propri nervi. Capì che era un’emergenza e che non bisognava indugiare.
Scansò dalla porta il giovane frate che cercava a fatica di riprendere il controllo del proprio apparato respiratorio. Era andato a letto vestito per il grande giorno in caso si fosse verificato il problema. E si compiacque per la scelta fatta la sera precedente prima di coricarsi. Non c’era tempo da perdere. Urlò subito gli ordini.
“Fra Stuono suona le campane. Fra Lorenzo, o come dicon tutti Renzo, raduna lo special team, codice rosso. Fra Wolfgang corri a chiamare i riservisti e sii sicuro che ci sia pure fratello Piovesan. Fra Carletto… tu stai nella tua cella e non muoverti per nessun motivo.”
“Ma io potrei…” Iniziò fra Carletto.
“Stai fermo lì. E non toccare nulla.” Intimò perentorio il cerimoniere conoscendo la pericolosità del frate più maldestro che avesse mai conosciuto.
“Forza, non c’è tempo da perdere! Loro si sono già mossi. Credono di prenderci alla sprovvista. Pensano che noi riposiamo. Sono convinti di essere più scaltri di noi. Ma si sbagliano di grosso. I frati francescani non si faranno mai fot... non si faranno mai anticipare da loro.” Poi con voce tonante aggiunse. “Fratelli, per Francesco, per Benedetto, siamo noi i prescelti!”
Un coro di “Sì!” si elevò fino ai piani superiori e chi ancora dormiva si svegliò e capì che quello era il momento. Nel trambusto di sandali e porte che sbattevano si sentì pure un “Eh che cazzo!”. Fra Cristoforo prese mentalmente nota della voce. Ci avrebbe pensato dopo con calma.

Scese nella cappella e ripassò mentalmente lo schema. Tutto sarebbe dipeso dall’organizzazione e dai movimenti sincronizzati. Anche affrettando la tempistica ce l’avrebbe fatta. Non si sarebbe fatto anticipare. Pensavano di averlo preso in contropiede. Ma lui sapeva come controbattere. Non per niente nei corridoi lo chiamavano Frate Trap. Avrebbe bloccato ogni loro tentativo sul nascere. Era pronto. E i suoi confratelli erano i migliori che aveva personalmente preparato all’evento. Sperava solo che fratello Carletto rimanesse nella cella. Quello che toccava rovinava. Toccò la chiave che teneva legata al cordone simbolo dei francescani. Era la chiave della cella di Carletto. Si tranquillizzò. Non avrebbe dovuto farlo, ma in quella situazione bisogna agire per il bene supremo dell’ordine e della Chiesa Cristiana di Roma.
Ottantotto secondi e lo special team che aveva dormito con i vestiti era pronto in fila per due. Si mise in testa. Fece un segno col sopracciglio a frate Luciano e questi intonò con voce potente il canto con voce da tenore. La fila si mosse.
Dietro a Fra Cristoforo c’erano fra Luciano col suo canto e fra Lorenzo, o come dicon tutti Renzo, che agitava velocemente il turibolo pieno di incenso creando una profumata nuvola di fumo che avvolse il gruppetto. Dietro a loro fra Guglielmo reggeva un vangelo da 60 chili aiutato da fra Roberto da La Spezia detto Camallo. Dopo di loro i movimenti coordinati dello special team composto da fra Jean-Claude da Bruxelles detto Muscolo, fra Iglesias da Madrid detto Amor, fra Adolf da Monaco detto Baffo, frattte Giusepppe da Nuoro Nuraghe dettto, fra “*” da Enna detto Innominato. Chiudevano la fila fratello Ultimo da Polcenigo, e fra Umberto da Casso, chiamato anche fra Casso.
I fratelli che non erano stati scelti seguivano il gruppetto speranzosi col cuore in mano incitandoli con preghiere.
Fra Luciano passò al Padrenostro. “Pdrnstrchsnclisisantnomtu…” pregava con la stessa velocità con cui il manipolo percorreva la chiesa. Il turibolo seguiva la preghiera senza perdere il ritmo. I passi erano corti a causa della tunica francescana, ma sembrava non toccassero mai terra.
Uscirono e li videro: gli armeni.

Erano riuscito a eliminare lo svantaggio iniziale. Ora era solo una questione di efficienza. Chi avrebbe mantenuto i nervi saldi e non si sarebbe scompattato avrebbe avuto la meglio. Sarebbe arrivato per primo alla cripta della Basilica della Natività a Betlemme e avrebbe aperto la cerimonia di Natale. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte del 25 Dicembre AD 2011.
Il tempo rallentò. Ogni passò dei frati sembrò durare interminabili secondi. Allo stesso modo i padri armeni apparivano avanzare al rallentatore. Si guardarono duramente negli occhi. Una mosca di passaggio fu fulminata e si crearono un paio di micro lampi. Tutti gonfiarono il petto a tal punto che le candele quasi si spensero per la mancanza di ossigeno da bruciare. Appena i due cortei uscirono completamente dalla loro porta i supporter li seguirono riempiendo lo spazio della chiesa.
Solitamente i cortei seguono tragitti separati ed entrano da due porte opposte, ma quella notte i capi cerimonia si diressero l’uno verso l’altro. Fra Cristoforo si trovò davanti padre Igor. Si guardarono intensamente negli occhi senza proferire parola. Era chiaro che uno dei due doveva lasciare il passo. Solo uno di loro sarebbe potuto entrare nella cripta.
Tutti trattennero il fiato per dieci minuti, il tempo che i due impiegarono per cercar di spezzare lo sguardo di chi si trovava di fronte. Chi avrebbe battuto ciglio avrebbe ammesso la precedenza dell’altro. Dopo quest’impasse e una decina di svenimenti per mancanza d’aria da parte di frati e padri lasciati cadere senza cure tant’era la tensione, fra Cristoforo parlò.
Con un sorriso forzato e senza batter ciglio disse “Buongiorno a lei padre Igor. Non riusciva a dormire?”
“Buongiorno a lei frate Cristoforo. Sono riposatissimo, non si preoccupi. Vedo che anche lei non riusciva a chiudere occhio. La vedo un po’ stanco. Forse sarebbe meglio per lei e per i suoi confratelli se tornaste nelle vostre celle a dormire. Qui ci pensiamo noi. Non c’è bisogno di voi.” Rispose beffardo padre Igor.
“Non siamo stanchi. Voi piuttosto. Sembrate un gruppetto che abbia bisogno di qualche ora di sonno profondo. Potete andare pure a riposare. Noi siamo pronti.”
“Cristoforo,” Padre Igor tagliò corto gettando i convenevoli in un cestino delle immondizie “non avete speranza. Quest’anno tocca a noi.”
“Igor, lascia stare. Meglio per voi che vi ritirate e lasciate il passo a chi di dovere.” Replicò il Cerimoniere francescano con un sorriso forzato digrignando i denti.
“Il passo lo cedo solo a chi ne è degno.”
“Coi tuoi pari il diritto è sempre mio.”
“Apriremo noi.”
“Noi.”
“Noi.”
“Noi.”
“Noi.”
Entrambi sbuffarono come una locomotiva a vapore che attraversa la Siberia a piena velocità. I nasi quasi si toccavano da tanto si erano avvicinati. Pure gli occhi si sfioravano. La carica di energia tra i due poteva bastare ad illuminare New York per qualche anno. I loro sguardi si intensificarono per quanto si possa aumentare l’intensità di due abbaglianti sovraccarichi.
Nel frattempo dietro di loro i rispettivi special team erano pronti e tenuti fermi solo dal volto inespressivo di fra Lorenzo, o come dicon tutti Renzo, e quello marmoreo di padre Alexander che era molto grande. Si sarebbero potuti tranquillamente scambiare per due statue, tant’è che dei turisti giapponesi gli avevano più volte accarezzato i nasi aquilini pensando fossero delle opere d’arte per poi correre fuori urlando in giapponese al miracolo quando starnutivano.
La folla dei confratelli e padri non stava solamente li a guardare. Chi non era svenuto per la tensione e il calore umano era teso come una corda di una balestra pronto a scattare. Il silenzio fu interrotto da degli insulti lanciati da una parte e ribattuti dall’altra come un volano.
“Mangia ostie!”, “Zitto, pelato!”
“Rivenditore di santini!”, “Spacciatore di benedizioni!”
“Voi armeni l’incenso ve lo fumate!”, “Voi francescani, lo sniffate!”
E così via in un escalation di aggressività propria da curva.
Eugenio, frate imbottiture, tirò dei cuscini. Padre Vladimir, padre stalliere, senza pensarci due volte passò alla rappresaglia facendo volare ferri di cavallo che stesero due frati. Giacomo, frate imbalsamatore, lanciò due teste di alce che si depositarono su altrettanti padri sotterrandoli. Volarono banchi, candelabri, libri sacri e qualche vangelo apocrifo, turiboli e i frati francescani fecero delle fruste con i loro cordoni. La situazione degenerò e le due fazioni vennero al contatto fisico l’una urlando “ARARAT!” e l’altra “TONSURA!” caricarono.

Mentre scoppiava il caos i due cerimonieri continuavano la loro sfida guardandosi dritti dentro alle pupille cercando di piegare l’avversario o fargli batter le ciglia. Nessuno cedeva e nessuno di loro vide quello che accadeva intorno.
I frati addetti alle pulizie si scaraventarono sui loro opposti con le scope di saggina alzate. La controparte ripose con il mocio vileda inzuppato. Chi si occupava dell’orto si affrontò lanciando radicchio e insalata e colpendosi nel corpo a corpo con cetrioli e carote, anche alle spalle con i vegetali più grossi e freschi se capitava. Un paio delle vittime caddero a terra con un’espressione di piacere. Frate Ratatouille comandava i cuochi e stava avendo la meglio nel suo campo a colpi di salame tipo milano, quando venne sommerso da un quintale di spaghetti stracotti similcolla. Mentre tentava di rialzarsi gli fu versato sopra venti chili di ketchup e perse conoscenza. Fra Luciano e il coro combatteva gli avversari con canti gregoriani, e i padri armeni rispondevano con un coro di voci bulgare prestati per l’occasione dagli alleati ortodossi europei. Il libraio padre Andrej attaccava dall’alto con aerei di carta costruiti strappando pagine del libro dei salmi, mentre fra Arnaldo appallottolava fogli di preghiere e sparava con cerbottane usate come contraerea per abbattere i velivoli nemici.
Fra Cristoforo ebbe un momento di tentennamento e, sempre con lo sguardo fisso, cominciò a piegarsi su se stesso. Al contempo padre Igor metteva a terra un ginocchio. Il frate scese sulle proprie ginocchia sentendo le forze venir meno. L’armeno mise una mano per terra e poi anche l’altra. La sfida di sguardi li stava stremando. Si ritrovarono tutti e due sdraiati, ma con gli occhi ben fissi e immobili stesti come una pelle d’orso.
In quella posizione imbarazzante padre Igor trovò l’energia di sorridere e con la consapevolezza del robot giapponese che sta per infliggere il colpo finale su Gozzilla gridò “Ivan! Ora!”.
Quel grido fece si che tutto si fermasse e che guardassero in direzione della porta degli armeni. Si sentì uno sbuffare di toro che carica. Dalla porta, piegandosi in due per passare attraverso e scardinandola comparve padre Ivan.
Padre Ivan aveva un passato da boscaiolo come indicava la veste a quadri che indossava sopra gli abiti talari. Veniva usato dalla gente del suo villaggio per sradicare gli alberi sul Caucaso e per trasportare le rocce a valle e nelle giornate di pioggia il villaggio si riparava sotto di lui.
I padri armeni si fecero da parte lasciando spazio alla montagna semovente dell’Ararat. “I-VAN, I-VAN, I-VAN!”
Padre Ivan avanzò lentamente ma inesorabilmente verso i frati. Il panico lì bloccò. Il primo a riprendersi fu il capo dello special team. “Per Francesco! Per Benedetto! Per la Chiesa di Roma! Avanti!” I frati si lanciarono sull’ex boscaiolo, ma venivano respinti come salmoni dalla corrente. Provarono una carica simultanea in diciotto, ma rimediarono solo lesioni di secondo grado.
La partita sembrava conclusa. Padre Igor sorrise per un’ultima volta disse “E’ fatta.” E chiuse gli occhi.
Fra Cristoforo si vide perduto. Non aveva la forza di alzarsi e vedeva i suoi confratelli abbattuti uno dopo l’altro come ochette alla fiera. Dov’era Wolfang il frate militante austriaco di Melk? Dov’era Piovesan? La speranza lo lasciò e così anche le poche forze rimaste. Chiuse un occhio, poi l’altro. L’udito si face flebile e proprio un istante prima di perdere i sensi sentì una voce lontana, una voce di speranza e un grugnito di salvezza. “Ja, Ja. Sturmtruppen. Wurstel. Kruti, Sachertorte.” Era Wolfgang e dietro di lui il respiro che faceva tremare i vetri di Piovesan. Perse i sensi, ma non la speranza. Sapeva che potevano ancora farcela. La partita non era ancora finita.

Fratello Piovesan di Zero Branco, Treviso, proveniva da una famiglia di contadini. Le sue dimensioni e il suo peso eguagliava quello del pachiderma del Caucaso. Piovesan veniva utilizzato al suo paese per zappare la terra. Si diceva “Dove passa Attila non cresce più l’erba. Dove passa Piovesan si può seminare.” Era andato come missionario in Cambogia per aiutare col progetto di bonifica del territorio dalla mine lasciate dai Khmer Rouge. Quando metteva il piede su una mina dopo l’esplosione si girava e diceva “Hmmm?”. Usciva alla mattina e rientrava tutto nero con il saio bruciacchiato e riportava il suo resoconto “Ho fatto una passeggiata in mezzo ai campi. Penso che un ettaro di terra sia bonificato.”
Piovesan si pose davanti ad Ivan. Si creò un cerchio e i due si affrontarono come due lottatori di sumo, mentre tutti attorno incitavano il loro beniamino.
Frate Luigi se ne stava in disparte osservando lo scontro. Era magro e alto come una cannuccia, portava delle lenti da miope, presbite ed astigmatico, era un po’ rachitico e soffriva d’asma. Un bambino biondo gli si avvicinò.
“Che succede frate?” chiese con una voce melodiosa.
“Succede che stavolta gliele diamo.” Rispose senza guardare il suo interlocutore.
“Non si dovrebbe litigare la notte di Natale.” Osservò il bambino.
“Ah, lascia stare piccolo. Queste sono cose da grandi. Meglio che tu te ne vada da qui. Torna dalla mamma.”
“Mio padre dice di porgere l’altra guancia. Non ci dovrebbe essere violenza in questo mondo. Questo spettacolo lo rattristerà molto. Penso che non verrà oggi. E io di certo non voglio rimanere in questo posto pieno di violenza.”
“Piccolo, ti ho già detto che questo non è un posto per te. Vai pure da mamma e papà, purché tu ti tolga dai piedi. Che tuo padre venga o no, non è importante. Ciò che conta è che oggi entriamo prima noi. Vai Piovesan!”
Il bambino si allontanò.
Frate Luigi sentì un brivido alla schiena. No, non poteva essere. Si voltò. Il bambino era già in fondo alla chiesa. Era biondo e sembrava emanasse una luce intensa. Guardandolo si sentì felice, quasi estasiato.
Il bambino si girò. Guardò ancora una volta la scena. Poi guardò il frate e scosse la testa. Aprì la porta. Una luce immensa ed accecante entrò nella sala. Nessuno si accorse in quanto seguivano lo scontro di sumo davanti a loro. Il frate sentì il biondino dire “Papà, mamma, andiamo via. Io non voglio rimanere in questo posto pieno di violenza. Loro non mi vogliono, e non sembra che vi stiano aspettando a cuore aperto. Andiamocene via da qui.”
La porta si chiuse. La luce svanì. Luigi si sentì morire nonostante i suoi confratelli esultassero perché Piovesan aveva appena steso Ivan il Boscaiolo con la mossa segreta della sacra scuola della Val Brembana.

Nota: nel novembre 2008 scoppiò  una rissa tra monaci armeni e greci ortodossi nella Basilica del Sacro Sepolcro a Gerusalemme, finì in pareggio grazie all’intervento dell’esercito di Israele.

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